LA NAZIONE: “Da un orologio risale al ricordo delle stragi”

di ALBERTO PIERINI (LA NAZIONE, 21 Marzo 2021)

C’è chi è morto per una spiata, chi per sbaglio, chi per una finestra chiusa male, tutti senza avere il tempo di salutare i propri cari. C’è chi è morto convinto che il figlio fosse stato già preso e decise di seguirne il destino. E invece quel figlio era riuscito a salvarsi, nascondendosi nel bosco: e portandosi dietro per tutta la vita, il ricordo straziante di quelle ore. Le ore del 4 luglio 1944. Ore che Filippo Boni, il nipote di quel ragazzo salvatosi nel bosco e il bisnipote di quel padre morto per seguire il figlio, ricostruisce passo passo nel suo ultimo libro, “Muoio per te”, edizione Longanesi. Le stragi naziste di Cavriglia: quattro paesi passati al setaccio. Meleto Valdarno, Castelnuovo dei Sabbioni, San Martino, Massa dei Sabbioni. E una settimana dopo Le Matole.

191 morti, tutti civili, tutti uomini tra i 14 e gli 83 anni. Sì, uomini anche i ragazzi, perché costretti a crescere in quelle ore contro ogni regola, contro ogni natura. Una guerra che non costringeva solo, come altre, i genitori a seppellire i loro figli, ma le donne a seppellire i padri, i mariti, i figli, i nipoti. Rimanendo sole, con il carico insopportabile di una memoria ferita per sempre. L’autore già in passato aveva portato a galla quei giorni, dando nomi e volti agli assassini rimasti impuniti, nel libro “Colpire la comunità”.

Stavolta parte dalla memoria del nonno. Giuseppe Boni, una vita da macellaio, gliela consegna sul letto di morte, lì dove 50 anni dopo il cancro sarebbe riuscito dove i tedeschi avevano fallito. Un pugno di carte scritte fitto fitto e un orologio a cipolla appeso ad una catena.

L’orologio che una volta dileguatisi i nazisti della divisione Hermann Goering, lui aveva trovato nella tasca del babbo. Quel babbo che si era praticamente consegnato pur di ritrovarsi con il figlio. Un orologio a cipolla che da allora ha scandito le ore della memoria. Boni parte da lì, con lo stile classico dei suoi libri: attenti alla ricostruzione storica ma sempre dando respiro ai risvolti umani. Ha provato, vivendo nella terra del nonno e del bisnonno, a inseguire le memorie personali di tanti di quelle 191 vittime. Un po’ come aveva fatto con il libro su via Fani, concentrandosi uno ad uno sugli uomini della scorta. Con l’idea di restituire loro non la giustizia ma almeno la memoria. A partire dai colpi secchi al portone del convento di Montecarlo: di un gruppo di nazisti partito dalla Germania non per salvare vite, ci mancherebbe, ma per salvare e portarsi via l’Annunciazione del Beato Angelico.

Prendendo per la tonaca padre Alfonso Turchetti, quando già il dipinto per fortuna era lontano. E prosegue, in un percorso che ricostruisce ore e volti, tra le frazioni del paese delle miniere colpite a freddo. Gli spostamenti dei partigiani, la ricognizione dei tedeschi nelle settimane precedenti, la pianificazione del massacro. Fino al rastrellamento, ai colpi di mitra, al fuoco che ne distrugge i corpi. Lasciando spazio ai gesti eroici di chi anche in quella situazione offrì la propria vita in cambio di quella degli altri. O allo sguardo di don Giovanni Fondelli, il parroco, mentre andava a morire con i suoi fedeli. Stretti alle loro povere cose: tra cui un orologio a cipolla, legato con una catena.

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